domenica 6 aprile 2008

La sarda rivoluzione:LA RIVOLUZIONE A CAGLIARI

3 La Rivoluzione a Cagliari

La rivolta popolare

Il 28 Aprile 1794, una compagnia di granatieri del reggimento svizzero Schmid scende dalla Porta Reale, dirigendosi verso Stampace, un rione nato nel XIII secolo, al momento della prima fortificazione di Castello, raccogliendo artigiani e capimastri pisani, ed in seguito popolato dai sardi.
Gran parte dei granatieri si dispone in cerchio attorno all’abitazione dell’avvocato Vincenzo Cabras per notificargli un ordine di arresto che si estende al genero del Cabras, Efisio Pintor, anche lui avvocato. Essi devono essere arrestati perché considerati pericolosi rivoluzionari.
Quando i due uomini, in catene, escono dalla casa, la notizia percorre immediatamente Stampace. Lo sdegno si trasforma presto in rivolta.
I granatieri si richiudono all’interno del Castello il quale viene assalito dal popolo.
Una volta entrati, gli insorti giungono nella piazza antistante il Palazzo viceregio e lo scontro si fa più accanito tra il popolo e la guardia di palazzo. Viene ucciso il Comandante delle guardie, ed il popolo conquista il palazzo e ha la meglio sui granatieri.

Lo Scommiato: “La scacciata”

Una cosa che le cronache non dicono è quale atteggiamento abbia assunto di fronte alla sommossa popolare la nobiltà cagliaritana. Fatto sta che appena i fucili hanno smesso di sparare e il viceré e i funzionari piemontesi, in preda al terrore di essere massacrati da una plebe urlante, si sono rintanati nella stanza più riposta del Palazzo, i nobili sono prontissimi a entrare in scena per prendere in mano le redini della città.
Il primo impulso di fronte alla folla in tumulto che circonda il Palazzo viceregio è quello di calmare i più accesi, di introdurre un elemento di moderazione nella dinamica di una rivolta di cui si temono ulteriori sviluppi.
Da un lato i nobili rassicurano il viceré, dall’altro il visconte di Flumini, don Francesco Asquer, a capo di un centinaio di persone, procede all’arresto dei piemontesi presenti in città.
Lo “scommiato” dei piemontesi da Cagliari si svolge in un clima in cui toni enfatici si alterneranno a quelli, più familiari alla città, del lazzo e della battuta.
Il 30 aprile il vicerè Balbiano sale sulla nave veneziana che deve portarlo in Italia e che salperà il 7 Maggio 1794.
Intanto entro le mura della darsena dove Balbiano sta per imbarcarsi, gruppi di popolani festosi inscenano un irridente ballo sardo.

Un “Manifesto Giustificativo”

Così come era avvenuto anche a Sassari, le cose si erano svolte tutto sommato con ordine: non vi era stato neppure per un momento il pericolo di una “tirannia plebea”, ed il popolo cagliaritano era stato solo provocato da arresti insensati (quello dell’avvocato Vincenzo Cabras e quello, tentato, di Efisio Pintor).
L’esempio più vistoso della febbre di iniziative che aveva preso la città era costituito dal notaio stampacino Vincenzo Sulis, il quale, nei giorni dell’attacco francese si era fatto capopopolo e aveva reclutato armati, li aveva organizzati, li aveva utilizzati in azioni audaci; dopo la sconfitta dei francesi tutto questo apparato non era stato smobilitato, per cui il 28 aprile ritroviamo gli uomini di Sulis presidiare armati le strade di Stampace.
Ma presto la rivolta popolare era rientrata sotto il controllo dei nobili cagliaritani.
Il momentaneo vuoto di potere, era stato riempito dalla Reale Udienza.
Non mancavano certo implicazioni rivoluzionarie e la richiesta avanzata dai sardi rivoluzionari della “privativa degli impieghi” per i sardi era passibile di una doppia lettura. Quella in chiave patriottica poteva anche odorare pericolosamente di giacobinismo. L’altra però riconduceva al tema degli antichi privilegi dell’aristocrazia sarda.
Le cose inizialmente parvero avviarsi in questa seconda direzione. Da parte del governo di Torino prima vi fu la sostituzione del ministro dell’Interno Granari con il conte Avogadro di Quaregna, poi, subito dopo, la nomina di alcuni sardi alle cariche lasciate scoperte dall’allontanamento dei funzionari piemontesi.

Un manifesto giustificativo dei fatti di Stampace (anonimo ma in realtà steso da Antonio Cabras, figlio di uno degli arrestati) escludeva che dietro di essi vi fosse un preciso progetto politico.
In realtà le cose non sarebbero finite così, ma avrebbero avuto un seguito con l’entrata in scena di Giommaria Angioy.