giovedì 8 settembre 2011

8 settembre 1943

Nel settembre 1943 l'Italia, dopo aver perso anche la colonia libica, venne occupata per la parte meridionale dagli alleati anglo-americani. 
Così il 25 luglio di quell'anno il re fece arrestare Mussolini, nominando Badoglio capo del governo e il fascismo venne dichiarato decaduto. Lo stesso governo Badoglio l'8 settembre 1943 firmò l'armistizio con gli alleati e subito dopo fuggì, assieme alla corte, a Brindisi nel territorio controllato dagli americani, mentre l'esercito tedesco invadeva l'Italia del centro-nord. 

Iniziò così la guerra di Resistenza in Italia, che vide contrapporsi le truppe irregolari partigiane ai soldati tedeschi occupanti e al risorto esercito fascista della Repubblica Sociale Italiana di Mussolini.
Frattanto l'Armata Rossa sovietica avanzava da est e gli alleati erano sbarcati in Normandia.
Nel maggio 1945 ebbe termine la guerra in Europa con la conquista dell'intera Germania da parte degli eserciti alleati. Il Giappone continuò la guerra ancora fino ad agosto, quando le due bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki posero fine al conflitto mondiale.



Il dramma dell’esercito italiano scoppia alle 19,45 dell’8 settembre 1943, quando la radio italiana divuiga il messaggio del maresciallo Badoglio nel quale il capo del governo comunicava che l’italia ha “chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate” e che la richiesta è stata accolta. Il dramma si trasforma nel giro di poche ore in tragedia per centinaia di migliaia di soldati abbandonati a se stessi nell’ora forse più tragica dall’inizio della guerra.
Le forze presenti sulla penisola e in Sardegna ammontano a un totale di circa 1.090.000 uomini (10 divisioni nell’italia settentrionale, 7 al centro e 4 al sud della penisola e altre 4 in Sardegna), contro circa 400.000 soldati delle unità tedesche; ma mentre queste ultime sono perfettamente efficienti e fortemente dotate di mezzi corazzati, l’esercito italiano è uno strumento bellico estremamente debole(di questo sono convinti anche allo Stato Maggiore, che infatti considera le truppe italiane sconfitte in partenza), con una buona metà delle divisioni del tutto inefficienti, scarsamente dotate di mezzi corazzati e male armate. A queste forze, numericamente notevoli, vanno sommate le unità italiane dislocate nei vari settori fuori dei confini metropolitani: 230 mila uomini in Francia (e Corsica), 300 mila circa in Slovenia, Dalmazia, Croazia, Montenegro e Bocche di Cattaro, più di 100 mila in Albania e circa 260 mila soldati in Grecia e nelle isole dell’Egeo: in totale 900 mila uomini circa, in teoria una forza formidabile, ma solo in teoria. In realtà si tratta di un esercito assolutamente inadeguato ai tempi, su cui non si può in alcun modo fare affidamento. 

Se a questa situazione si aggiunge, in quel fatidico 8 settembre, l’assoluta mancanza di direttive da parte dei responsabili della macchina da guerra italiana (e in particolare del capo del governo Badoglio, che pure era un militare, del gen. Ambrosio, capo di Stato Maggiore Generale, e del capo di Stato Maggiore dell’Esercito gen. Mario Roatta) e l’imperdonabile leggerezza con cui si affronta il prevedibile momento della resa dei conti con i tedeschi, si puo capire lo sfacelo, il crollo totale dell’esercito italiano all’indomani dell’annuncio della firma dell’armistizio. 
Nella dissoluzione generale (al momento della prova, molti comandanti sono lontani dai reparti, o se sono presenti non hanno ricevuto disposizioni), si verificano tuttavia alcuni coraggiosi quanto inutili tentativi di opporsi all’aggressione tedesca: in Trentino-Alto Adige e in Francia le truppe alpine reagiscono all’attacco, ma sono episodi di breve durata; i focolai di resistenza sono spenti con spietata ferocia.In Grecia, nel desolante spettacolo del disarmo dei reparti italiani da parte dei tedeschi, brilla il coraggio della divisione Acqui che a Cefalonia sceglie la lotta e la conseguente autodistruzione: 9646 morti, una vendetta inutile ma feroce. 


http://digilander.libero.it/secondaguerra/dissolve.htm


DAL 25 LUGLIO ALL'8 SETTEMBRE
Nell’estate del 1943, con il susseguirsi delle sconfitte militari dell’Italia e l’invasione della Sicilia da parte degli Alleati, cresce la sfiducia e l’opposizione verso Mussolini ed emerge una crisi latente, che porterà alla caduta del regime fascista. I principali dirigenti politici e militari del paese, con il determinante appoggio del re, si convincono che solo allontanando Mussolini dal potere si potrà evitare il crollo definitivo dell’italia.
Nella riunione del Gran consiglio del fascismo, che si conclude alle prime ore del mattino del 25 luglio 1943, viene approvato un ordine del giorno presentato da Dino Grandi (presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni), con il quale si decide “l’immediato ripristino di tutte le funzioni” delle istituzioni statali e si conferisce al sovrano l’effettivo comando delle forze armate. Nel pomeriggio il re comunica a Mussolini di aver deciso di sostituirlo con il generale Pietro Badoglio;
il duce viene arrestato dai carabinieri. Alle 22.45 la radio dà la notizia della destituzione di Mussolini e trasmette il comunicato di Badoglio che annuncia il proseguimento della guerra accanto all’alleato tedesco. Folle esultanti si riversano per le strade, acclamando il re e Badoglio ma chiedendo in molti casi pace e libertà. I simboli del regime vengono abbattuti, i fascisti sembrano scomparsi. 
Un decreto di Badoglio scioglie il Partito nazionale fascistae abolisce il Gran consiglio e ilTribunale speciale.
Il governo intende riaffermare la continuità dello stato prefascista e della monarchia sabauda: è ormai chiaro che il colpo di stato contro Mussolini rischia di trasformarsi in un’operazione di ricambio interna al gruppo dirigente.
Temendo che le manifestazioni popolari sfocino in moti rivoluzionari, il capo di stato maggiore dell’esercito, generale Mario Roatta, ordina all’esercito di aprire il fuoco su qualsiasi manifestazione che violi lo stato d’assedio: le vittime saranno numerose.
Mentre i partiti antifascisti (i comunisti, i socialisti, la Democrazia cristiana erede del Partito popolare, gli azionisti di Giustizia e libertà) si riorganizzano,
il governo avvia trattative segrete con gli Alleati. Il 5 settembre, a Cassibile, in Sicilia, viene firmato l’armistizio con gli angloamericani, che verrà reso noto dalla radio solo l’8 settembre. 


Vittorio Emanuele e la famiglia reale, Badoglio e i generali fuggono dalla capitale verso Pescara, prima di imbarcarsi per Brindisi, lontani dalle truppe tedesche. 


L’esercito viene lasciato senza ordini, il paese è abbandonato in balia delle truppe naziste, che il 9 settembre varcano il Brennero. 


Lo stesso giorno gli antifascisti danno vita al Comitato di liberazione nazionale CLN, chiamando il popolo “alla lotta e alla resistenza”. 
Per l’esercito italiano l’annuncio dell’armistizio è uno sfacelo: 60.000 fra morti e dispersi, 550.000 deportati in Germania; fra i superstiti, molti fuggono verso casa, molti danno vita a bande partigiane che animeranno la Resistenza.
Il 10 settembre i tedeschi ottengono la resa dei contingenti italiani posti a difesa di Roma.
Il 12 settembre un reparto di paracadutisti tedeschi, comandato dal maggiore Otto Skorzeny, libera Mussolini, che era stato confinato sul Gran Sasso, e lo conduce in Germania.