giovedì 22 settembre 2011

Émile Zola



Romanziere e saggista francese (Parigi, 1840 - idem, 1902)   






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In un  secolo, il XIX,  dominato dal romanticismo, Émile Zola, affascinato dal metodo scientifico, convinto che il romanziere sia un osservatore e uno sperimentatore, prosegue il sogno di una conoscenza totale del soggetto umano, di  cui il romanzo deve essere lo strumento. A questo scopo, si confonde con il naturalismo come estetica e come visione del mondo, ma di contro, il naturalismo si confonde con lui: egli ha, allo stesso tempo,  inventato ed esaurito il metodo e le sue realizzazioni possibili. Il suo naturalismo può essere definito anche come una sorta di "umanesimo scientifico", ossia un'attenzione sincera e partecipata per la classe  "la plus nombreuse et la plus pauvre" (Saint-Simon)  sostenuta da una visione scientifica - quella della sua epoca -del destino umano,   dove race, milieu et moment gravano sulla sorte del singolo e della collettività come un che di irrefutabile e di immodificabile,  una tara ereditaria appunto. D'altronde si schermirà lo stesso Zola nel Romanzo sperimentale: " Il naturalismo non mi appartiene, appartiene al secolo: agisce nella società, nelle scienze, nelle lettere e nelle arti, nella politica. E' la forza della nostra età".

Dalla miseria  al successo. Gli anni di formazione 
Zola non  nasce certo ereditiero, ma l’elemento ereditario conterà moltissimo nella sua opera. Nato a Parigi nel 1840, è   figlio  di un ingegnere veneziano incaricato dei lavori del canale di Aix-en-Provence, ed ha soltanto sette anni quando suo padre muore. Comincia allora un periodo di grande difficoltà, a volte sull’orlo della miseria, per sé e sua madre; è figlio unico e destinatario di una borsa studio, ristretto in un collegio dove compie studi di non grande livello, ma dove incontra Paul Cézanne, che sarà a lungo  suo amico. Nel 1858, a diciotto anni, raggiunge la  madre a Parigi, dove tenta di fare riconoscere i propri diritti dalla società del canale di Aix. Perde il  processo nel 1859; è l’anno in cui Zola è respinto all’esame di maturità. Questo fallimento lo induce ad abbandonare gli studi in  cerca di un lavoro: per tre anni non troverà nulla e e vivrà nella più nera miseria. Scrive tuttavia già molto - delle poesie, dei racconti, segnati della nostalgia di una Provenza idealizzata e di un romanticismo che presto tenterà di sopprimere nella propria vita interiore; partecipa ai seminari di amici pittori e si avvicina ai repubblicani oppositori della politica del Secondo impero.

Dall’editoria al giornalismo
Infine, nel 1862, trova una modesta occupazione presso la libreria Hachette, dove resterà fino al 1866. In pochi mesi diventa capo della pubblicità e annoda fitte relazioni con gli “autori di casa Hachette”, che hanno tra gli altri il nome di Taine, Littré. Fin dal 1863, Zola collabora a vari giornali; la sua attività di giornalista occuperà sempre un posto di rilievo nella sua vita. A partire dal 1866, tiene sull’Événement la cronaca letteraria ed  anche una d’arte. Collabora a l'Illustration,  con alcuni racconti. Scrive in un giornale, all’epoca di sinistra, Le Figaro, nel Globe, nel Gaulois e ne La Libre Pensée. Nel 1871, è giornalista parlamentare alla Cloche e collaboratore regolare del Sémaphore di Marsiglia e delMessager de l'Europe, mensile nel quale uscirà nel 1878 Romanzieri contemporanei e, nel 1879, L’arte poetica del movimento naturalista e Il romanzo sperimentale.

L’apprendistato del lavoro di scrittore
Gli anni passati da Hachette avevano permesso a Zola di comprendere il mondo delle idee e degli affari: come anche intuisce perfettamente il ruolo decisivo della pubblicità. Scrive e lavora instancabilmente, e, nel 1867, pubblica il suo primo romanzo, Thérèse Raquin, mentre getta sulla carta i piani della  storia di una famiglia (prevede dieci volumi, ne verranno fuori venti, la cui scrittura gli richiederà venticinque anni). Frequenta in quel periodo Manet, Monet, critici, intellettuali. Nel 1870, si sposa e definisce il suo progetto del Rougon-Macquart, senza nascondere che si tratta di farsi una posizione  e di guadagnare del denaro, cosa che avverrà, con il successo a partire dall’ Assommoir. Guadagnare è l’unica  forma possibile  di riscatto sociale  e la soddisfazione di una ossessione per lui: quella di rendere alla madre la sua persa dignità sociale.

Rougon-Macquart: il naturalismo. La società del secondo impero
Nel momento in cui Zola comincia il suo ciclo romanzesco, vasto affresco in venti volumi della “storia naturale e sociale di una famiglia sotto il Secondo impero”, il suo progetto estetico contrae un debito con Taine e  Claude Bernard da un lato, e Littré dell’altro: dai primi due, trae l’idea che il romanziere deve procedere come lo scienziato che sperimenta, e tenere, nelle sue osservazioni, il più gran conto delle condizioni socio-storiche che determinano il soggetto umano; da Littré, prende in prestito il metodo, che ha permesso al lessicografo di classificare scientificamente le materie ed arrivare all’impresa straordinaria del dizionario. Due testi teorici strutturano il lavoro di scrittura del Rougon-Macquart: la prefazione al primo romanzo del ciclo, La fortuna dei Rougon (1870), ed  Il romanzo sperimentale (uscito nel 1880). La prefazione delimita un territorio tematico - una famiglia francese sotto il Secondo Impero - e si propone di evocare,  attraverso i destini disparati dei suoi vari membri, le avventure e le trasformazioni dell’intero corpo sociale. Ciò vuol dire che la storia del momento avrà il suo giusto rilievo e che il formidabile movimento economico (fortune e rovine improvvise, affarismo e corruzione) che agita il Secondo Impero sarà in primo piano. A  metà percorso - Il romanzo sperimentale è coevo di Nana, il nono romanzo del ciclo -, Zola fa il punto su ciò che è diventato un’estetica: quella del romanzo naturalista, vero crogiolo dove i fatti raccolti sono sottoposti alla prova delle trasformazioni imposte dalle circostanze e dagli ambienti.

Una famiglia segnata dall’ereditarietà
Innanzi tutto, il romanzo di Zola non è una trascrizione oggettiva - né matematica - del reale: il romanziere è sempre un creatore, un temperamento che vede e rivela un angolo del mondo. Questo temperamento è guidato da una scelta, un filo conduttore nell’ oscurità del reale: per Zola, questo filo sarà quello dell’ereditarietà, mezzo che gli permetterà di classificare scientificamente i materiali del romanzo. 

Al vertice dell’albero genealogico dei Rougon-Macquart, c’è l’elemento ereditario della zia  Dide che partorisce secondo capriccio e le urgenze del momento. Primo romanzo della saga, La fortuna del Rougon è un vero romanzo delle origini: racconta la lotta di due figli di Dide, Pierre Rougon ed Antoine Macquart, il primo che si impadronisce della fortuna della madre a scapito del fratellastro. L’azione si svolge tra il 7 e l’11 dicembre 1851, alcuni giorni dopo il colpo di Stato di Luigi Napoleone Bonaparte: Rougon è, in scala ridotta, un usurpatore come Napoleone il Piccolo, e, come lui, riuscirà con il furto, il crimine e la corruzione. Il medico Pascal, l’ultimo romanzo, è una “messa in abisso” di tutta opera: biologo, il medico Pascal studia l’eredità, e la sua famiglia è l’ oggetto privilegiato di studio.  Lo sguardo del romanziere nel romanzo, rivela la tara originale, la pazzia della zia Dide, e, nonostante gli ostacoli, spiega a sua nipote Clotilde - che diventerà la sua amante - le leggi della vita e le forze della natura, alla quale, certamente, occorre fare affidamento. Il Rougon-Macquart si conclude con una morale semplice ma acquisita attraverso tante sofferenze, odi, crimini, illusioni, che riesce singolarmente grave: conoscere e amare la vita, viverla così come deve essere vissuta.
  
Una galleria di personaggi
Durante tutto il ciclo, Zola ha costruito intrighi e figure indimenticabili, inventato dei contrasti potenti che prendono nella memoria dimensioni epiche e mitiche: l’opposizione dei “grassi” – riccastri, felici e conformisti - e dei “magri” - sognatori idealisti -, nel Ventre di Parigi; il laboratorio dell’Assommoir: ingranaggio spaventoso d’alcolismo e violenza; la follia dell’oro e della carne in Nana, prostituta superba morta a diciannove anni, corrosa dal vaiolo, donna fatale dove l’uomo viene a perdersi; l’esigenza della creazione come un assoluto, ne L’ opera, dove il pittore Claude Lantier lotta disperatamente per ricreare la vita con tessuti e colori, e, altra vittima dell’ereditarietà, finisce per pendersi dinanzi ad un  quadro incompiuto; la fascinazione bruta che il meccanico Jacques Lantier prova, ne La bestia umana, per Lison, la sua locomotiva, che ama come una donna...  Le torbide speculazioni finanziarie ne Il denaro, dove l’urgenza e la febbre del denaro facile è contrapposta  l’ascetica vita del  marxista Sigismonde  che al freddo della sua mansarda  ripensa  nei suoi fondamenti la società. Di fronte a questi racconti, alcuni romanzi appaiono come veri racconti di fate: Una pagina d’amoreLa felicità delle signore o Il sogno.

Una rete di immagini e di miti
In questa saga che tratta tanti personaggi, eventi, fatti, che accumula i casi clinici senza mai separarli dal peso ossessivo del mondo sociale, dell’universo dei mestieri, dei piaceri, degli affari, passa  ciò che Michel Serres considera come la vera acquisizione di Zola. La sua “pretesa scientifica” non è dunque inutile, senza tacere che è diretta contro uno stile  romanzesco corrente nell’epoca che dissimula idealizzandoli o rimuovendoli i veri meccanismi sociali, mentre in Zola quella pretesa acquista una vera valenza politica: nominare e indicare quei meccanismi significa allora qualificarsi come uomo di sinistra e repubblicano. A questa  prima urgenza  se ne aggiunge immediatamente un’ altra, che fa di Zola uno scrittore autentico: i critici concordemente (soprattutto H.Mitterand)  hanno osservato che non si tratta  di una semplice notomizzazione o classificazione del reale ma piuttosto di  una sua trasfigurazione artistica, di una metamorfosi mitica, di cui il romanzo di Zola è il crogiolo, il laboratorio. Le forze cosmiche - la terra e le germinazioni potenti che la travagliano, o il cielo come evasione verso la purezza – al pari delle  forze di una natura indomita sono tutte là: il sesso, la violenza, che Freud chiamerà presto l’istinto di morte nell’uomo, la volontà di distruggere e distruggersi, il continente terrificante del mondo femminile, la pazzia, la furia del denaro e del piacere. A tutte queste parole converrebbero delle  maiuscole: sono allegorie, cosa che dà all’arte romanzesca di Zola un soffio epico che non impedisce a caratteri ed individualità di emergere e di essere artisticamente definiti.
Rougon-Macquart garantirà a Zola l’indipendenza finanziaria che desiderava, e ne gestirà la redditività alternando pubblicazione in giornali e in volumi, adattando per il teatro alcuni dei suoi romanzi e traendo vantaggio dagli scandali che accompagneranno molte delle sue opere.
  
Scritti militanti - Due nuovi cicli
Completati i Rougon-Macquart, Zola scriverà altri romanzi: Lourdes, uscito nel 1894 ed immediatamente messo all’indice; Roma, nel 1895;Parigi, nel 1898. Questo ciclo delle tre città descrive l’itinerario di Pierre Froment, figlio di un uomo di scienza e di una devota, nel quale si scontrano le forze della fine del secolo, la scienza ed il ritorno allo  spiritualismo. I quattro vangeli sono il seguito: Pietro ha finito per sposare Maria con la quale ha trovato la felicità; avranno quattro figli, nuovi apostoli, ai quali spetta realizzare la giustizia e la pace sulla terra. Matteo è l’eroe di Fecondità (1899), Luca quello di Lavoro (1900), Marco quello di Verità (1902). Zola muore, forse avvelenato dolosamente dai fumi del camino di casa,  mentre lavora a Giustizia, di cui Giovanni sarebbe stato l’eroe.

L'Affaire Dreyfus 
Ma piuttosto che per queste opere - importanti nella sua evoluzione spirituale, poiché costruiscono un’utopia  che prolunga il sogno di una riforma sociale al quale si  è appassionato -, gli ultimi anni della vita di Zola sono attraversati da due eventi importanti: uno, privato, il legame con  Jeanne Rozerot, nel 1888, che sarà la sua amante (Zola non abbandonerà la moglie)  e gli darà due bambini; l’altro, pubblico, nel 1898, la pubblicazione della Lettera alla Francia, il 6 gennaio, quindi, il 13, nell’Aurore, quella del J’accuseLettera aperta al Presidente della repubblica, Félix Faure. Convinto dell’innocenza del capitano Dreyfus, imputato di alto tradimento, ma effettivamente vittima di un antisemitismo virulento, Zola obbliga con quest’articolo i responsabili a fare scoppiare lo scandalo: designando i più alti capi militari come i complici di un crimine giudiziario, contribuisce a fare uscire il processo dalle porte chiuse dove si era voluto tenerlo. Dreyfus sarà riabilitato soltanto dopo la morte di Zola, che pagherà caro il suo coraggio: due processi, un esilio di alcuni mesi a Londra, uno scatenarsi di odi e di calunnie oscurarono la fine della sua vita. Si ritiene non a torto che la sua stessa morte sia dovuta all’affaire Dreyfus.

Il testimone di un’epoca
Poligrafo, lavoratore instancabile, creatore prolisso impegnato nei dibattiti del suo tempo in anni ricchi di  rivolgimenti e  scandali, dove la politica moderna inizia ad albeggiare, dove le carte si rimescolano -la classe operaia si organizza e prende coscienza di se stessa, il capitalismo
creatore di ricchezze   mostra  già la sua faccia oscura -, Zola è uno straordinario testimone. E non è un caso se una delle sue passioni durature (come per il nostro Giovanni Verga) sia  la fotografia, alla quale fu iniziato fin dal 1888 dal giornalista Victor Billaud. Scattò circa 6.000 fotografie: semplici foto ricordo, paesaggi naturali o urbani, ma anche ritratti originali nella loro composizione e veri quadri. Fotografo, Zola resta romanziere e si fa pittore: cattura cose viste, ma tutto documenta, tutto vuole “conservare”.
Il successo di Zola è stato e rimane immenso. Certamente, se si è imposto come una presenza essenziale nella cultura del suo tempo, è spesso agli scandali che egli lo deve - a forza di “rovistare nei rifiuti”, finisce per attirare l’attenzione -, ma fu scrittore sospetto all’ Académie Française, dalla quale arrivarono soltanto dinieghi alle sue ripetute candidature. Ma una certa cultura popolare lo ha sempre rivendicato, e gli adattamenti cinematografici delle sue opere  non si contano più. Come ha notato Giovanni Macchia ne Il Paradiso della ragione, la letteratura francese lungi da essere “misura” e razionalità, è nei fatti accumulo, disordine, vasta e smisurata vitalità di proporzioni. Se oggi si legge Zola, lo si deve considerare come un Balzac, un Tolstoj, un classico che ci fa capire che cos’è davvero la letteratura ( mentre se leggiamo gli autori di oggi è solo per vedere a che punto è arrivata). 


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J'accuse

Da Wikipedia


«  Monsieur le Président,
permettetemi, grato, per la benevola accoglienza che un giorno mi avete fatto, di preoccuparmi per la Vostra giusta gloria e dirvi che la Vostra stella, se felice fino ad ora, è minacciata dalla più offensiva ed inqualificabile delle macchie. Avete conquistato i cuori, Voi siete uscito sano e salvo da grosse calunnie. Apparite raggiante nell'apoteosi di questa festa patriottica che l'alleanza russa ha rappresentato per la Francia e Vi preparate a presiedere al trionfo solenne della nostra esposizione universale, che coronerà il nostro grande secolo di lavoro, di libertà e di verità. Ma quale macchia di fango sul Vostro nome, stavo per dire sul Vostro regno – soltanto quell'abominevole affare Dreyfus! Per ordine di un consiglio di guerra è stato scagionato Esterhazy, ignorando la verità e qualsiasi giustizia. È finita, la Francia ha sulla guancia questa macchia, la storia scriverà che sotto la Vostra presidenza è stato possibile commettere questo crimine sociale. E poiché è stato osato, oserò anche io. La verità, la dirò io, poiché ho promesso di dirla, se la giustizia, regolarmente osservata non la proclamasse interamente. Il mio dovere è di parlare, non voglio essere complice. Le mie notti sarebbero abitate dallo spirito dell'uomo innocente che espia laggiù nella più spaventosa delle torture un crimine che non ha commesso. Ed è a Voi signor presidente, che io griderò questa verità, con tutta la forza della mia rivolta di uomo onesto. In nome del Vostro onore, sono convinto che la ignoriate. E a chi dunque denuncerò se non a Voi, primo magistrato del paese? Per prima cosa, la verità sul processo e sulla condanna di Dreyfus. Un uomo cattivo, ha condotto e fatto tutto: è il luogotenente colonnello del Paty di Clam, allora semplice comandante. La verità sull'affare Dreyfus la saprà soltanto quando un'inchiesta legale avrà chiarito i suoi atti e le sue responsabilità. Appare come lo spirito più fumoso, più complicato, ricco di intrighi romantici compiacendosi al modo dei romanzi feuilletons, carte sparite, lettere anonime, appuntamenti in luoghi deserti, donne misteriose che accaparrano prove durante gli appuntamenti. È lui che immaginò di dettare l'elenco a Dreyfus, è lui che sognò di studiarlo in una parte rivestita di ghiaccio, è lui che il comandante Forzinetti ci rappresenta armato di una lanterna, volendo farsi introdurre vicino l'accusato addormentato, per proiettare sul suo viso un brusco raggio di luce e sorprendere così il suo crimine nel momento del risveglio. Ed io non ho da dire altro che se si cerca si troverà. Dichiaro semplicemente che il comandante del Paty di Clam incaricato di istruire la causa Dreyfus, come ufficiale giudiziario nel seguire l'ordine delle date e delle responsabilità, è il primo colpevole del terribile errore giudiziario che è stato commesso. L'elenco era già da tempo nelle mani del colonnello Sandherr direttore dell'ufficio delle informazioni, morto dopo di paralisi generale. Ebbero luogo delle fughe, carte sparivano come ne spariscono oggi e l'autore dell'elenco era ricercato quando a priori si decise poco a poco che l'autore non poteva essere che un ufficiale di stato maggiore e un ufficiale dell'artiglieria: doppio errore evidente che mostra con quale spirito superficiale si era studiato questo elenco, perché un esame ragionato dimostra che non poteva agire soltanto un ufficiale di truppa. Si cercava dunque nella casa, si esaminavano gli scritti come un affare di famiglia, un traditore da sorprendere dagli uffici stessi per espellerlo. E senza che voglia rifare qui una storia conosciuta solo in parte, entra in scena il comandante del Paty di Clam da quando il primo sospetto cade su Dreyfus.
A partire da questo momento, è lui che ha inventato il caso Dreyfus, l'affare è diventato il suo affare, si fa forte nel confondere le tracce, di condurlo all'inevitabile completamento. C’è il ministro della guerra, il generale Mercier, la cui intelligenza sembra mediocre; c’è il capo dello stato maggiore, il generale de Boisdeffre che sembra aver ceduto alla sua passione clericale ed il sottocapo dello stato maggiore, il generale Gonse la cui coscienza si è adattata a molti. Ma in fondo non c’è che il comandante di Paty di Clam che li conduce tutti perché si occupa anche di spiritismo, di occultismo, conversa con gli spiriti. Non si potrebbero concepire le esperienze alle quali egli ha sottomesso l'infelice Dreyfus, le trappole nelle quali ha voluto farlo cadere, le indagini pazze, le enormi immaginazioni, tutta una torturante demenza. Ah! Questo primo affare è un incubo per chi lo conosce nei suoi veri dettagli! Il comandante del Paty di Clam, arresta Dreyfus e lo mette nella segreta. Corre dalla signora Dreyfus, la terrorizza dicendole che se parla il marito è perduto. Durante questo tempo, l'infelice si strappava la carne, gridava la sua innocenza. E la vicenda è stata progettata così come in una cronaca del XV secolo, in mezzo al mistero, con la complicazione di selvaggi espedienti, tutto ciò basato su una sola prova superficiale, questo elenco sciocco, che era soltanto una tresca volgare, che era anche più impudente delle frodi poiché i ”famosi segreti” consegnati erano tutti senza valore. Se insisto è perché il nodo è qui da dove usciva più tardi il vero crimine, il rifiuto spaventoso di giustizia di cui la Francia è malata. [...]
Ma questa lettera è lunga signor presidente, ed è tempo di concludere. Accuso il luogotenente colonnello de Paty di Clam di essere stato l'operaio diabolico dell'errore giudiziario, in incoscienza, io lo voglio credere, e di aver in seguito difeso la sua opera nociva, da tre anni, con le macchinazioni più irragionevoli e più colpevoli. Accuso il generale Mercier di essersi reso complice, almeno per debolezza di spirito, di una delle più grandi iniquità del secolo. Accuso il generale Billot di aver avuto tra le mani le prove certe dell'innocenza di Dreyfus e di averle soffocate, di essersi reso colpevole di questo crimine di lesa umanità e di lesa giustizia, per uno scopo politico e per salvare lo stato maggiore compromesso. Accuso il generale de Boisdeffre ed il generale Gonse di essersi resi complici dello stesso crimine, uno certamente per passione clericale, l'altro forse con questo spirito di corpo che fa degli uffici della guerra l'arcata santa, inattaccabile. Accuso il generale De Pellieux ed il comandante Ravary di avere fatto un'indagine scellerata, intendendo con ciò un'indagine della parzialità più enorme, di cui abbiamo nella relazione del secondo un imperituro monumento di ingenua audacia. Accuso i tre esperti in scrittura i signori Belhomme, Varinard e Couard, di avere presentato relazioni menzognere e fraudolente, a meno che un esame medico non li dichiari affetti da una malattia della vista e del giudizio. Accuso gli uffici della guerra di avere condotto nella stampa, particolarmente nell'Eclair e nell'Eco di Parigi, una campagna abominevole, per smarrire l'opinione pubblica e coprire il loro difetto. Accuso infine il primo consiglio di guerra di aver violato il diritto, condannando un accusato su una parte rimasta segreta, ed io accuso il secondo consiglio di guerra di aver coperto quest’illegalità per ordine, commettendo a sua volta il crimine giuridico di liberare consapevolmente un colpevole. Formulando queste accuse, non ignoro che mi metto sotto il tiro degli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 29 luglio 1881, che punisce le offese di diffamazione. Ed è volontariamente che mi espongo. Quanto alla gente che accuso, non li conosco, non li ho mai visti, non ho contro di loro né rancore né odio. Sono per me solo entità, spiriti di malcostume sociale. E l'atto che io compio non è che un mezzo rivoluzionario per accelerare l'esplosione della verità e della giustizia. Ho soltanto una passione, quella della luce, in nome dell'umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. La mia protesta infiammata non è che il grido della mia anima. Che si osi dunque portarmi in assise e che l'indagine abbia luogo al più presto. Aspetto.
Vogliate gradire, signor presidente, l'assicurazione del mio profondo rispetto. »